Il dovere di trasmettere la felicità

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Yoga Journal Italia, per la rubrica di Swami Joythimayananda dal titolo Laboratorio di Ayurveda.

 

In sanscrito l’insegnamento atto a educare un individuo nell’apprendere la gestione della vita materiale viene definito Bodhana, ma è possibile usare anche la parola Diksha, con la quale si intende “risvegliare” l’anima dell’allievo con la finalità di indurlo a seguire una vita spirituale basata sulla liberazione dall’illusione (Maya).
Insegnare è la radice della vita e, al tempo stesso, rappresenta un’azione sacra, che deve essere utilizzata per coltivare la natura più elevata dell’uomo, permettendogli di seguire verità, purezza, sincerità, pazienza, resistenza, perseveranza, coraggio e autocontrollo. L’insegnamento deve essere visto come un dono supremo, un’arte da trasmettere con sapienza attraverso la crescita interiore. Educare significa principalmente trasmettere la vita attraverso la filosofia, i principi dell’esistenza e la pratica, ovvero l’attuazione concreta di tali principi.
Un insegnante prima di trasferire la conoscenza a un allievo deve intraprendere un cammino spirituale di crescita interiore, che gli permetta di padroneggiare i tre principali “canali” di conoscenza indicati dalla filosofia vedica: Aptavakyam, la sapienza derivata dai testi antichi; Pratyaksham, il lungo percorso che conduce all’acquisizione di esperienza nella vita reale; Anumanam, la conoscenza puramente logica che può essere acquisita solo dopo una profonda crescita umana e lo studio dei testi sacri.
Esistono due strade principali da seguire lungo la via dell’apprendimento, la prima è chiamata via della riduzione (o via spirituale), in sanscrito Atmika marga, mentre la seconda è la via dell’aumento (o materiale), in sanscrito Laukika marga. Quest’ultima può essere trasmessa da un semplice insegnante o anche da un professore, per esempio quelli della scuola o dell’Università, in grado di utilizzare al meglio l’intelletto, la scienza e la logica. Il Guru, invece, o il Maestro, ha il compito costante di risvegliare, trasmettere, guidare il discepolo lungo il cammino spirituale con animo puro anche attraverso forze misteriose, mentre il discepolo dovrà seguire umilmente il proprio Maestro senza ricercare nel suo comportamento una ragione intellettuale o nessi logici relativi al suo comportamento basati su principi di causa ed effetto.
In tutte le lingue esistono innumerevoli parole che esprimono in modo similare il concetto di “insegnamento”: educare, istruire, guidare, esercitare, formare, allenare, ammaestrare, addestrare. La stessa ricchezza linguistica è riscontrabile nel lessico riferito a chi insegna: maestro, docente, educatore, professore, istruttore… Così anche nella tradizione vedica esistono molteplici nomi per indicare coloro che trasmettono la sapienza: Guru, Acharya, Podahar, Sikishaka, Upadesakar, Vidyatkar.

Allo stesso modo, gli allievi possono essere chiamati Sishya, Bhakta, Mumukta, Chela, Charta; ognuna di queste parole esprime il significato del tipo specifico di insegnamento che viene impartito. La parola Diksha si riferisce all’insegnamento supremo e spirituale, la sua etimologia proviene da “Di”, dare, e ”ksha”, liberare; il significato letterale è “dare la conoscenza per liberarsi dal Karma”. Diksha è considerata come un’iniziazione al risveglio della coscienza dell’allievo e i principi della verità trasmessi attraverso Diksha dal Guru (colui che elimina il buio), o da un Maestro (chi padroneggia la conoscenza), al discepolo (Sishya), costituiscono il metodo tradizionale attraverso cui la filosofia vedica trasmette da millenni forme semplici, o anche molto complesse, di conoscenza.

Questo metodo, chiamato in sanscrito Parampara, si compie attraverso il legame diretto (e senza filtri intermedi) tra Guru e Sishya, e presenta punti in comune con il rapporto educativo esistente tra genitori e figli.
Il discepolo dovrebbe seguire e offrire il suo servizio al maestro per un numero elevato di anni. Dopo un percorso minimo di 12 anni il Maestro dona il Diksha a seconda della crescita spirituale del discepolo, a questo punto la volontà del discepolo e la grazia del Guru si uniscono. Il Maestro gli trasmette la benedizione attraverso lo sguardo (Nayana Diksha), o per mezzo di un tocco della sua mano (Parisa Diksha), o ricorrendo alla lettura dei testi sacri (Sastra Diksha), o grazie alla conoscenza dello Yoga (Yoga Diksha), o diffonde in lui l’energia del divino (Mantra Diksha), o trasmette lo stato del distacco (Sanyasa Diksha).
Il Maestro penetra l’anima del discepolo e gli infonde una nuova energia (Prana Diksha), ma il Maestro può anche unire l’anima del discepolo alla sua e rimetterla nel corpo del discepolo come una nuova nascita (Atma Diksha).

Quattro livelli di insegnamento

  1. L’istruttore è colui che ha appreso insegnamenti o tecniche da altri e poi le dimostra e spiega ad altri individui.
  2. L’insegnante ha appreso la conoscenza e la trasmette ad altri.
  3. Il Maestro è colui che ha fatto un lungo percorso di cammino interiore, ha maturato la saggezza e domina se stesso; con il suo esempio trasmette all’allievo la conoscenza, la saggezza, la purezza e il distacco e adatta il suo insegnamento in base agli allievi che a lui di presentano.
  4. I santi, saggi, rishi e profeti divulgano il messaggio spirituale al mondo, per il bene di tutti.

Insegnare yoga
Nell’antichità insegnare Yoga era un dovere sacro (non una professione), che veniva trasmesso dal Guru al discepolo e dai genitori ai figli. Ho cominciato a praticare Yoga quando avevo 3 anni in compagnia di mia madre, gli zii e i fratelli. Questa conoscenza mi è stata trasmessa in forma ludica, poi attraverso un lungo percorso di vita ho appreso la saggezza dello Yoga.
Insegnare Yoga significa trasmettere al discepolo la saggezza e la forza dell’unione, che permetterà un giorno all’anima individuale di fondersi in modo puro con l’anima cosmica. È un dovere donare agli altri la saggezza, la salute e la felicità, così come insegnare agli allievi ad amare Dio e seguire una vita umile e semplice sotto il segno della verità. Gli insegnamenti dovrebbero permettere all’allievo di gestire la propria la vita in modo armonioso senza che il suo corpo, mente e anima, vengano disturbati.

La vita quotidiana deve essere condotta come una missione sacra e per realizzare ciò è necessario allenarsi (Sadana) gradualmente a livello strutturale, sensoriale e mentale. Il Panchanga Yoga classifica questi “allenamenti” includendo:

  • Hatha Yoga: equilibra l’energia attraverso il controllo del corpo.
  • Bhakthi Yoga: stabilizza la salute mentale canalizzando le emozioni verso la devozione suprema.
  • Raja Yoga: studia la funzionalità della mente e permette il controllo sull’ego e l’intelletto, favorisce la concentrazione e la buona riuscita della meditazione.
  • Gnana Yoga: allena al distacco, la “via della riduzione”, per non accumulare Karma.
  • Karma Yoga: aiuta a vivere e agire come un servizio disinteressato per purificare corpo, mente e Karma.

Insegnamento vedico
L’insegnamento tradizionale vedico e l’insegnamento attuale sono molto differenti: ciò che un tempo era un dovere sacro oggi è diventato una professione. Paradossalmente ora sono gli insegnanti a cercare gli allievi mentre prima erano gli allievi a cercare i Maestri. Purtroppo l’insegnamento è diventato un commercio, mentre in origine nasce come servizio, l’allievo seguiva un percorso lungo per raggiungere la saggezza, mentre ora l’allievo acquisisce le tecniche in modo veloce. I Maestri erano duri e severi, ma non perdevano mai la tenerezza nel cuore, ora gli insegnanti sono spesso superficiali e pieni di ego.
Tradizionalmente in India il rapporto tra allievo e Maestro era molto intimo, legato alla base da una profonda spiritualità. Il Guru era considerato come un’anima e non un corpo (il Guru ha in sé l’anima pura e la spiritualità, non parla attraverso intelletto o ego, solo la sua anima parla, ecco perché l’allievo non riesce a rispondere intellettualmente quando il Guru si rivolge a lui).
Il Guru non può mai morire, perché vive sempre nel cuore dei suoi discepoli, questo è il rapporto intimo tra Guru e discepolo. Discepolo e Guru sono uniti in modo mistico in una relazione eterna, e continuano a esserlo anche dopo la morte del corpo fisico.

Allontanarsi con responsabilità dal proprio Maestro
Un discepolo non si allontana mai dal suo maestro, poiché le loro anime sono unite. Una separazione reale tra Maestro e discepolo non si determina mai: entrambi sono “uno” in due corpi distinti. Il Maestro agisce sempre attraverso il corpo del discepolo e un allievo non si allontana mai del tutto dal proprio Maestro, che vive nel cuore dell’allievo e viceversa.
Quando un seme cade dall’albero nutre l’albero madre, diventando in questo modo energia dell’albero originario; mentre se viene trasportato lontano dall’albero madre può crescere dando forma a nuova vita, perpetuando in questo modo la ciclicità della vita stessa.
La responsabilità è un termine che si riferisce alla capacità di saper rispondere e affrontare saggiamente ogni situazione. Il ruolo di responsabilità del Maestro è diverso da quello del discepolo, poiché il compito del Maestro è anche quello di mettere in difficoltà l’allievo, e il compito dell’allievo è di seguire la via della difficoltà con pazienza, resistenza, sincerità e umiltà.
Tutti viviamo in collettività, e ogni nostra decisione coinvolge anche gli altri e il mondo. Tutti siamo dei discepoli e al tempo stesso dei Maestri, tutto l’Essere insegna, e allo stesso momento impara. Non c’è niente da inventare o da brevettare, tutto è venuto dall’Assoluto, e tutto ritornerà all’Assoluto, niente è nuovo e niente sparisce definitivamente dall’esistenza. Le cose vengono e vanno in un flusso ciclico.

Ricordi di un Maestro
Nel 1968 ho vissuto per un periodo nell’Ashram di Swami Satchidananda (fondatore della Scuola Integral Yoga®), in Sri Lanka. Una sera dopo il Satsang e prima di andare a dormire il Maestro mi chiese un bicchiere d’acqua, quando ritornai per offrirgliela mi guardò e richiuse la porta. Ho atteso tutta la notte con quel bicchiere d’acqua in mano e la mattina presto, intorno alle 5, Swamiji aprì la porta e prese l’acqua con un sorriso. Questa esperienza mi ha insegnato la resistenza, la pazienza e la perseveranza.